

Doveva essere un normale soccorso stradale: un piccolo incidente al semaforo, niente di grave. Stavo già pensando al pranzo, indeciso se andare al food truck o accontentarmi di un altro panino molliccio nella volante. Poi l’ho sentito.
Un urlo. Non quello arrabbiato che insulta un altro guidatore. No, era acuto, terrorizzato e profondo. Di quelli che ti afferrano per la schiena.
Ci precipitammo verso la berlina nera. La portiera del passeggero era spalancata, e dentro… eccola lì. Una giovane donna, forse poco più che ventenne, inzuppata di sudore, ansimante come se avesse corso per otto chilometri. Le mani stringevano i lati del sedile, gli occhi spiritati. Acqua ovunque. Coperte. Salviettine umidificate. E un uomo che camminava avanti e indietro con il telefono, inutile.
“Sta incoronando!” urlò. “Oh mio dio, sta incoronando!”
Mi si rivoltò lo stomaco. La guardai, poi il mio compagno. Lui mi fissò come per dire: “Beh?”
Lasciai cadere il panino, che stava già iniziando a inzupparsi, e corsi verso l’auto, cercando di scrollarmi di dosso lo shock che mi aveva colpito come un treno merci. La mia mente correva, ma il mio corpo si muoveva in automatico. Le grida della donna si fecero più forti e il suo respiro si fece più frenetico, disperato.
Ho lanciato un’occhiata al tizio che camminava avanti e indietro intorno all’auto. Non mi stava aiutando. Era in preda al panico, cercava di parlare con qualcuno al telefono, ignorando completamente il fatto che la sua compagna stava per partorire sul sedile del passeggero di una berlina.
“Tiratela fuori dalla macchina”, gli urlai. “Ora. Dobbiamo metterla a terra.”
Il tizio mi ha appena salutato, ancora troppo impegnato con il telefono, ma ho visto la sua esitazione. Era paralizzato, non sapeva cosa fare. La sua voce si incrinò quando parlò di nuovo. “Non ce la farà ad arrivare in ospedale, vero? Oddio, oh Dio, aiutala!”
Mi mossi rapidamente, il mio addestramento cominciò a fare effetto, anche se non ero mai stato addestrato per una cosa del genere. Non ero un soccorritore, non ero un medico, ma conoscevo le basi – o almeno speravo. Mi inginocchiai accanto alla donna e le misi una mano sulla spalla.
“Ehi, ehi, ascoltami”, dissi dolcemente, cercando di calmarla. “Ti aiuteremo a superare questo momento. Ho bisogno che tu stia con me, okay? Concentrati solo su di me, non sul dolore, non su nient’altro. Stai andando alla grande.”
Mi guardò, pallida in viso, con le labbra tremanti. “Non… non pensavo che sarebbe successo così. Non ero pronta.”
Annuii, cercando di apparire calma, anche se dentro di me non lo ero per niente. “Lo so, ma sei pronta. Ce la puoi fare. Solo un altro po’, ok?”
Mi sono voltato verso il mio compagno, che stava già armeggiando con la radio, cercando di contattare l’ambulanza. Gli ho fatto un rapido cenno di assenso e ho guardato di nuovo la donna.
“Okay”, dissi, cercando di sembrare più sicura di quanto mi sentissi. “Ho bisogno che tu mi ascolti. So che è spaventoso, ma dobbiamo far uscire il bambino. Puoi spingere quando te lo dico?”
Annuì, le lacrime le rigavano il viso, il sudore le colava lungo le tempie. Mi strinse forte la mano e potei sentire il suo dolore, la sua paura. Guardò l’uomo che camminava avanti e indietro, ancora inutilmente in mano al telefono, e le rivolse un debole sorriso.
“È stato in preda al panico per tutto questo tempo”, disse dolcemente, tra un sussulto e l’altro. “Credo che si sia appena reso conto che avremo un bambino oggi.”
A quelle parole, l’uomo alzò lo sguardo, con un’espressione di colpa che gli illuminava il volto. Alla fine riattaccò il telefono e si accovacciò accanto a lei, prendendole la mano. Ma non le offrì altro: nessuna parola di conforto, nessun sostegno. La fissò e basta, con gli occhi spalancati.
Mi sono concentrato di nuovo sulla donna. “Bene, ce la puoi fare. Fai un respiro profondo. Quando sei pronta, spingi con tutta la tua forza.”
Annuì, stringendo i denti, e quando arrivò la contrazione, diede il massimo. Feci del mio meglio per guidarla, mantenendola calma e concentrata. I suoni del mondo intorno a noi sembravano svanire, e tutto ciò che riuscivo a sentire erano i suoi respiri affannosi e i dolci incoraggiamenti che continuavo a offrirle. Stavo facendo del mio meglio, sostenendola, anche se non sapevo se fossi pronta per tutto questo.
E poi, con un’ultima spinta, il pianto del bambino riempì l’aria. Il suono era così crudo, così bello che per un attimo non potei fare a meno di sorridere, nonostante il caos della situazione.
Il viso dell’uomo si illuminò e lui tirò un sospiro di sollievo, ma io ero troppo concentrata sul bambino. Mi assicurai di liberargli rapidamente le vie respiratorie e lo avvolsi in una coperta, tenendolo al caldo il più possibile.
“Ce l’hai fatta”, dissi alla donna. “Sei incredibile. Hai appena portato un po’ di vita in questo mondo.”
Mi guardò con gli occhi spalancati, esausta ma sorridente. “Sta… sta bene?”
Annuii. “È perfetta. Sei stato bravissimo.”
Ma mentre mi giravo per controllare il bambino, ho visto il mio compagno sullo sfondo che parlava con qualcuno alla radio, il suo viso pallido come quello della donna prima. Il cuore mi è sprofondato. Ce l’avevamo fatta, ce l’avevamo fatta, ma ora la parte difficile era passata e la prossima ondata di realtà stava per colpirmi.
L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo e i paramedici presero subito in carico la situazione. Furono gentili ed efficienti, sistemarono la donna sulla barella e le misero con cura il bambino in braccio.
“Sembra tutto a posto”, disse uno dei paramedici, guardandomi. “Ottimo lavoro.”
Lasciai uscire un respiro che non mi ero accorta di aver trattenuto. “Grazie. Io… io non mi aspettavo di partorire oggi.”
La donna mi sorrise, con gli occhi pieni di gratitudine. “Grazie”, sussurrò, stringendo il suo bambino al petto. “Ci hai salvato.”
Quel momento mi sembrò surreale, quasi come se non fosse mai accaduto davvero. Avevo solo preso parte a qualcosa per cui non avrei mai potuto prepararmi, eppure, in qualche modo, tutto era andato per il verso giusto.
I paramedici la caricarono sull’ambulanza e, mentre il veicolo si allontanava, sentii un peso sollevarsi dalle mie spalle. L’intera esperienza mi aveva scosso, ma in un certo senso mi aveva anche ricordato qualcosa di importante: la vita è piena di sorprese e, a volte, siamo chiamati a essere all’altezza della situazione in modi che non ci saremmo mai aspettati.
Mi voltai verso l’uomo che era stato così inutile in quel momento. Era ancora lì, con gli occhi spalancati e le mani tremanti. Per un attimo, quasi mi dispiaceva per lui: aveva appena assistito alla nascita di suo figlio, ma era rimasto paralizzato dalla paura. Poi, però, accadde qualcosa di strano. Si avvicinò a me, con una voce appena più che un sussurro.
“Grazie”, disse, con gli occhi pieni di qualcosa di simile al rispetto. “Io… non so cosa dire.”
Annuii, con un piccolo sorriso. “Prego. Ma la prossima volta, cerca di essere un po’ più utile. Ora sei padre, che tu sia pronto o no.”
Non protestò. Annuì soltanto, e il suo sguardo si addolcì.
Con il passare della giornata, non ho potuto fare a meno di riflettere su quello che era successo. Non avevo mai pianificato nulla di tutto ciò, non mi sarei mai aspettato di partecipare a qualcosa di così intimo, di così sconvolgente. Ma alla fine, mi è sembrato che tutto fosse andato per il verso giusto. Ero stata all’altezza della situazione e, così facendo, avevo acquisito una nuova consapevolezza della vita, degli imprevisti che ci riserva e della forza che spesso non ci rendiamo conto di avere finché non ce ne serve davvero.
Ho imparato che a volte le cose migliori accadono quando meno te lo aspetti, quando pensi di stare semplicemente svolgendo la solita routine quotidiana, ma poi qualcosa cambia e ti ritrovi a far parte di qualcosa di più grande di te.
E riflettendoci, ho provato un senso di pace. L’universo mi aveva lanciato una palla curva, e io ero riuscito a coglierla al volo. Ma soprattutto, mi aveva insegnato il valore dell’essere presente, del farsi avanti quando necessario, anche quando non si è sicuri di essere pronti.
Quindi, se mai dovessi trovarti ad affrontare qualcosa di inaspettato, qualcosa che sembra troppo grande, troppo opprimente, ricorda: hai più forza di quanto pensi. La vita ti sorprenderà, ma tu sarai all’altezza della sfida, proprio come ho fatto io.
Condividete questa storia con chiunque abbia bisogno di un piccolo promemoria del fatto che siamo tutti capaci di fare più di quanto immaginiamo.
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